Clarisse

Il Monastero di Santa Maria della Luce di Mesagne, oggi distrutto, era ubicato nell’attuale piazza dei Commestibili, tra le vie Albricci e Lucantonio Resta. Fu fondato nel 1581 dai coniugi Alfonso Caputo ed Aquila Giovannone, per effetto di quella gran pietà, di cui erano dotati. Il patrimonio del chiostro fu poi accresciuto dalla donazione di Porzia Resta, anche essa di Mesagne, e di altri benefattori. Per educare le giovani fanciulle vennero trasferite alcune monache cappuccine della vicina città di Brindisi. Il 13 agosto del 1582alle ore tre di notte la costruzione del monastero fu ultimata e fu permesso l’ingresso del primo nucleo di ventitré religiose, guidate dalla badessa Angelica Azzolini, di nobile famiglia. Nelle visite pastorali del XVII e XVIII secolo le religiose erano sempre descritte come tutte osservanti della disciplina monastica. La gestione del patrimonio della famiglia religiosa doveva però aver percorso alterne vicende se nel 1754 il numero prefisso delle corali e delle converse era stato ridotto. Nell’Apprezzodel Feudo di Mesagne eseguito dal regio tavolarioPietro Vinaccia nel 1731 veniva riportato che la dote spirituale delle religiose era pari a 300 ducati per le numerarie e, nonostante il monastero fosse di giurisdizione arcivescovile, a discrezione della badessa quella delle soprannumerarie. Le entrate del chiostro erano rappresentate da censi, masserie, grano e case, voci tipiche di un sistema economico preindustriale. Nel corso degli anni il monastero di Santa Maria della Luce intraprese vari lavori di ampliamento e modifica e 1754 si presentava così: “bislungo, l’altezza del suo recinto è di palmi quarantacinque (…) la sua parte superiore è composta di un dormitorio e diviso in stanze e cameroni e celle e la parte inferiore tiene un chiostro, un refettorio e una cucina e dispenze, una casa col forno, un lavatojo, due stanze per la legna un magazzino per rimettere grano, una stanza per rimettere la calce, ed un’altra cucina, che se ne serve il monistero per mettere il vitto cotto, come pure tiene nella parte superiore un’altra stanza nella quale si ripone il formaggio per la basta del predetto Monistero. Non vi sta luogo separato per le novizie, né anche per le educande, ma quando tra le religiose vi sono di queste si trattengono con le loro maestre. (…) Tra detto Monistero vi sono pozzi di acqua sorgiva due cisterne, ed una conserva di acqua dolce, che vi si introduce di fuora. Tiene un solo parlatorio con una grata, una cratella con due ordini di ferro per ciascheduna, ed una ruota”. Le religiose affrontarono non poche difficoltà economiche per portare a termine i lavori di restauro dell’edificio. Benefattori del monastero furono anche i due abati Sasso, che dopo aver versato la dote spirituale di 400 ducati per la loro nipote Angelantonia, si offrirono di costruire una cella. decsrivendo con grande precisione le caratteristiche che avrebbe dovuto avere la stanza, il materiale da utilizzarsi e il costo dell’opera. La costruzione della cella si inseriva in una più ampia opera di restauro che restò a completo carico delle monache che affidarono l’impresa a maestranze brindisine, quali Leonardo Turi e poi Mauro Capozza. Il 18 novembre 1793 le suore decisero di edificare un nuovo monastero su progetto dell’ingegnere Fedele Morgese e successivamente il 20 aprile del 1859 le monache stipularono un contratto di costruzione con il maestro mesagnese Tommaso Perrucci secondo il progetto dell’architetto Francesco Carluccio. Con la legge n. 3036, del 7 luglio 1866 si estendeva a tutto il Regno d’Italia la soppressione delle corporazioni religiose, riformando l’Amministrazione del patrimonio ecclesiastico e istituendo un nuovo organismo detto “Fondo per il Culto” che avrebbe operato fino al Concordato del 1929. Il Monastero di Santa Maria della Luce venne perciò incamerato nelle proprietà del suddetto e fu adibito, tra l’altro, a caserma militare. Le monache rimasero ancora per una quarantina di anni in piccoli ambienti a loro riservati, finché nel 1906 lasciarono definitivamente il monastero, trasferendosi presso le benedettine di Ostuni.